Il 16 Novembre la direttrice dell’Accademia NAMI Rita Annecchini ha presieduto alla masterclass “La moda nella transizione ecologica e digitale” organizzata presso l’Istituto Omnicomprensivo Primo Levi di Sant’Egidio alla Vibrata e Ancarano (Te) da Atea, consorzio Eccellenze Artigiane, da Nami e dalla Camera di Commercio Gran Sasso d’Italia.
Protagonista della Masterclass è stato Daniel Agis, ricercatore e brand-building expert e omnichannel strategist, che si occupa da anni dello studio dell’evoluzione dell’omnicanalità e l’impatto del digitale nel settore moda.
Daniel Agis ha successivamente tenuto un seminario ristretto con gli studenti nella sede NAMI di Alba Adriatica (Te), dove una platea attentissima gli ha dedicato attenzione e domande, a seguito di una lectio magistralis interessantissima sulla “Moda verso il 2030“. E’ stata un’occasione importante per dare uno sguardo allo scenario internazionale in cui sta evolvendo il sistema moda e la partecipazione attiva dei ragazzi al seminario è uno stimolo fondamentale per alzare sempre di più l’asticella della qualità nell’interazione formativa adottata dall’accademia NAMI.
Ma cosa ci ha raccontato, in dettaglio, Daniel Agis?
Innanzitutto, ha condiviso con i presenti dati importantissimi su quale sia la situazione attuale del settore moda. L’irruzione della crisi mondiale conseguente alla pandemia da Covid-19 ha generato un calo dei consumi. La società è stata sottoposta ad una polarizzazione economica molto rilevante. Le abitudini di acquisto sono cambiate in modo più che repentino e la distribuzione si è concentrata sulle grandi piattaforme digitali, interrompendo l’integrazione dell’omnicanalità.
Aggiungiamo che molti settori produttivi hanno subito cali importanti di fatturato e, tra questi, figura anche il settore fashion.
Dal punto di vista sociologico, Il momento della vera rivoluzione arriva quando, seguendo diverse fasi, la rivoluzione digitale ha cambiato il modo in cui le persone comunicano tra loro. Il primo effetto che possiamo notare è stata la progressiva evoluzione della cultura del consumo: l’unidirezionalità dell’informazione lascia progressivamente spazio allo scambio di opinioni tra individui, il marchio perde il controllo sul consumatore e il valore della pubblicità si affievolisce a favore dell’opinione dei consumatori, la cui libertà di esprimersi sul web indirizza sempre di più i consumi.
Dopo la grande recessione 2007-2013, si assiste ad un consolidamento delle tendenze alla bidirezionalità. Le vecchie gerarchie e ogni dogma vengono messi in discussione. Si atomizzano le ideologie, canalizzate in mille cause differenti, dal femminismo, all’ambientalismo, all’antirazzismo, miranti a dare spazio a nuovi valori quali etica, inclusione e sostenibilità.
Interpreti principali di questa rivoluzione sono i nativi digitali, i millenials, che diventano il pubblico di riferimento del mercato. Aziende e brand cercano il loro consenso attivando una serie di nuove strategie per andare incontro al loro favore e alla loro capacità di spesa.
Da anni, il ruolo dei grandi centri commerciali è in declino.
Il retail.
Prima della rivoluzione digitale, la gestione delle vendite era canalizzata bidirezionalmente attraverso la gestione dei canali diretti monomarca come il B2B, il franchising, l’outlet e il retail oppure dei canali indiretti multibrand come i department stores, grande distribuzione, retail indipendente, marketplace. I due canali venivano gestiti in modo indipendente e senza che si relazionassero tra di loro. All’avvio della rivoluzione digitale, il brand utilizza la multicanalità avviando strategie crosschannel e utilizzando i dati da essi derivanti per trarne informazioni utili al business.
Con la rivoluzione omnichannel avviata intorno al 2013, l’integrazione online-offline diventa una realtà, così come il coordinamento dei vari canali di vendita iniziano a dialogare costruttivamente per lo stesso scopo: mettere il cliente al centro dell’esperienza di acquisto. Il commerciale, l’off line e l’on line, la logistica si rivoluzionano e riconvertono.
Effetti sul mondo della moda.
Le collezioni si riducono per tenere sotto controllo il fattore rischio, dimezzando il time-to-market, ovvero l’arrivo delle novità sul mercato per la vendita. Fenomeno dovuto anche alla spinta della concorrenza derivante dalla mole di marchi che operano sulle grandi piattaforme di vendita online. La moda di alta gamma introduce, tra i suoi valori identitari, quello dell’origine dei prodotti. Quest’ultimo aspetto converge con le tendenze sociali di valorizzazione dei prodotti più sensibili alle tematiche etiche ed ambientali.
L’arrivo del Cigno Nero e scenari futuri.
Il Cigno Nero segna l’irruzione del Covid-19 come fenomeno ad impatto globale. Insieme alla regressione di fatturato delle aziende, si registra anche una diminuzione degli investimenti tecnologici e commerciali. I grandi marchi di moda reagiscono con collezioni all’insegna della fluidità, della minore esposizione dei marchi, a favore della praticità dei capi.
Lo scenario post pandemico è ancora in via di definizione, ma possiamo confermare la tendenza all’accelerazione delle trasformazioni sociali e tecnologiche già avviate in precedenza. La moda in futuro prenderà sempre più in considerazione le tematiche sociali e ambientali, darà sempre più spazio alla creatività e ai fenomeni emergenti dal mondo digitale mainstream. Il modo in cui il consumatore considererà il brand fashion sarà coerente con ciò che le nuove generazioni ritengono più importante per loro: eticità dei prodotti e aderenza dei brand e delle aziende alle nuove visioni e modalità di consumo. I negozi diventano un ‘terzo luogo’ dove vivere esperienze di marketing originali, non solo utile dunque per l’acquisto. Gli spazi di vendita fisica diventeranno multifunzione e ibridi, determinando anche un cambiamento nel contesto urbanistico. Gli spazi dei grandi magazzini tenderanno a svuotarsi, lasciando lo scenario agli store, che offriranno social e omnichannel experience, come già sta accadendo con grandi brand come Zara e Deus ex Machina in alcune metropoli.
Artigianalità e creatività pensata su misura del consumatore resteranno una tendenza importante nel futuro del fashion
Molto interessante la visione su come il processo creativo della moda si trasformerà. Questo processo si muoverà su quattro principali tendenze:
- creazione di prodotti Fast Moving Consumers (FMCG) che risponderanno alle informazioni rilevate da big data.
- creazione di prodotti che rispondono ad istanze sociali ed ecologiche con un forte impatto narrativo.
- creazione di prodotti con forte impronta tecnologica innovativa.
- creazione di prodotti artigianali e customizzati.
La scommessa, nel futuro dell’industria fashion, sarà di riuscire ad utilizzare le informazioni dei big data coniugandole con la ricerca e innovazione tecnologica, la risposta alle esigenze estremamente differenziate provenienti dal mercato (come il mass market, la customizzazione, l’appeal del lusso e la ricerca di nuove funzionalità di prodotto) collegando il tutto alla capacità di attirare il traffico sulla rete digitale.
Dal punto di vista del Made in Italy, la valutazione dell’intero fermento in atto in questo momento storico nel settore moda è particolarmente utile alle aziende per indirizzare i progetti futuri verso almeno due delle tendenze in atto, che risultano particolarmente favorevoli al BBF, il Bello e Ben Fatto, che rappresenta il vero valore, il cuore dell’italianità nel mondo. Ci riferiamo, in particolar modo, ai punti 2. e 4. sui quali il BBF ha molto da dire con la sua capacità di rappresentare filiere etiche e ecologiche attraverso prodotti di alta specializzazione ed impronta artigianale. Se sapremo coniugare il saper fare italiano con l’innovazione tecnologica, se sapremo cioè trarre profitto dalla spinta proveniente dal nuovo Piano nazionale di Ripresa e Resilienza con le enormi risorse in esso contenute per lo sviluppo verde e digitale dell’economia italiana, avremo davanti uno scenario di valorizzazione del Made in Italy paragonabile ad un nuovo rinascimento. E se il paragone oggi può sembrare un po’ forzato, è anche sulla spinta emozionale che si deve fare leva per alzare la qualità del sogno italiano, poiché è realizzabile e alla nostra portata di mano.